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Degustazioni

Riflessioni sulla bevibilità…

Questa degustazione mi ha fatto riflettere non poco. È la mattina dell’11 giugno, io e Vania Valentini siamo a Chouilly da Legras & Haas per un’approfondita sessione di...
di Alberto Lupetti

alberto in degustazione da legres e haas
Questa degustazione mi ha fatto riflettere non poco. È la mattina dell’11 giugno, io e Vania Valentini siamo a Chouilly da Legras & Haas per un’approfondita sessione di degustazione. Jérôme Legras ci vuole mostrare la fase di cambiamento che sta vivendo la maison di famiglia, con tanti piccoli dettagli tecnici in cantina che poi si riflettono puntualmente sul progresso dei loro champagne. Progresso peraltro evidenziato dal rinnovato habillage, decisamente più accattivante. Troverete gli champagne che ci hanno colpito maggiormente (e sono diversi) nella prossima edizione (2026/27) della guida Grandi Champagne, ma qui vorrei parlare di un altro aspetto: la bevibilità. Ossia, di come certi champagne che a noi appassionati potrebbero apparire fin troppo accessibili e scorrevoli in realtà sono poi i più gettonati dal grande pubblico. Che, volenti o nolenti, rappresenta non meno dell’80% delle vendite di champagne.

La riflessione nasce dalla degustazione del nuovo (nell’estetica, nel nome e nell’annata) millesimato di Legras & Haas, fatto in media 4-6 volte per decennio. È frutto essenzialmente del celeberrimo lieu-dit ‘Le Mont Aigu’ a Chouilly più alcune parcelle confinanti, tutte di proprietà, le cui uve sono poi fermentate in gran parte in acciaio, oltre a una piccola quota di barrique; la malolattica è svolta parzialmente proprio dalla vendemmia 2018 ed è una delle innovazioni in cantina dei Legras. Dopo il tiraggio, lo champagne ha maturato 55 mesi sui lieviti ed è stato poi dosato a 6 g/l. Ne sono state fatte circa 30.000 bottiglie, più 2.000 magnum, 250 jéroboam e pure 100 mathusalem.

etichette in degustazione alberto da legres e haas


Ecco la nostra degustazione.

L’Année 2018

100% Chardonnay

I Legras hanno ben letto l’annata perché l’olfatto ha la maturità di questa, ma ha, allo stesso tempo, anche la finezza dei migliori blanc de blancs. Nel dettaglio, è disegnato da tanta mineralità e più frutto (acidulo) che agrume. La bocca è anch’essa mineralità e annata, quindi è molto sottile, finanche leggera. È uno Chardonnay molto territoriale, di spiccata finezza, ma è anche 2018, nel bene e nel male. In quest’ultimo caso significa una gustativa talmente delicata da poter essere definita eterea.

S.V.

Eccolo questo champagne e il nostro giudizio lo abbiamo candidamente espresso a Jérôme. Il quale ci ha risposto “sono d’accordo, ma non potete immaginare quanto si venda bene, perché si beve spensieratamente”. Ricordo di averlo guardato trasecolato, ma poi ho iniziato a riflettere su questa frase. Jérôme sta parlando di bevibilità estrema. Da appassionati premiamo la bevibilità, certo, e nelle nostre degustazioni per la guida Daniele Agosti ci spinge spesso a tenere in debito conto la scorrevolezza, ma a fianco di questa cerchiamo sempre struttura e articolazione. A ragione: la prima senza le seconde rendono un vino incompleto. O non bilanciato. A mio avviso.

Invece, poi, la maggior parte della gente premia proprio la bevibilità spensierata. Un punto su cui riflettere… Anche perché il grande vino, champagne o fermo che sia, è quello la cui bottiglia finisce quasi senza accorgersene, non quello di cui si evidenzia la complessità ma del quale, a forza di lodarlo, si stenta a finire un solo bicchiere.

Con questo non voglio dire che rinnego i criteri di degustazione adottati finora, assolutamente no, però bisognerebbe tenere conto anche di questo aspetto. Il problema è come farlo. E il fatto che non me la senta di attribuirgli un voto è il risultato di queste ultime mie parole: i miei criteri mi porterebbero ad attribuirgli non più di 87, massimo 88/100, ma questo essere premiato dal grande pubblico mi dovrà portare presto a trovare il modo di giudicare vini simili senza penalizzarli.

Non sarà facile, anche perché per me il punteggio è assoluto, non relativo. Significa che 90/100 è 90/100 universalmente valido e non riferito a una categoria o una situazione. Mi spiego meglio: 90/100 attribuiti a uno champagne non è un giudizio numerico riferito unicamente alla categoria degli champagne, come 90/100 tributato a un vino X (spumantizzato o fermo che sia) non significa che quel punteggio sia valido soltanto per la sua categoria. No! Questo non può essere. La qualità è oggettiva e assoluta, il gusto è soggettivo. Altrimenti, se valesse il punteggio relativo, potrebbe significare che mia mamma, che di vino non sa nulla, direbbe “ah, questo vino X ha avuto 90/100 e pure quest’altro vino Y, quindi sono del medesimo livello”. Lascio immaginare la confusione che si verrebbe a creare in termini di qualità assoluta.

È un discorso che ho affrontato con Adriana Bianco, abile relatrice di AIS Bologna, la quale ha difeso con passione il punteggio relativo. Capisco il suo punto di vista: nella guida AIS o eventi di degustazione focalizzati su Denominazioni meno consolidate, cercare di coinvolgere lettori e partecipanti con vini da 78-85/100 sarebbe complicato. Se addirittura non utopico. Tuttavia, come capisco questa posizione non facile (e per la quale al momento non ho una soluzione proponibile, lo ammetto), difendo la mia scelta del giudizio assoluto. E, per il momento, mi limiterò a un SV (Senza Voto) per quei vini che ritengo al di sotto dei miei parametri minimi, ma che poi godono oggettivamente un riscontro positivo dal grande pubblico.

Nell’attesa di trovare una soluzione omnicomprensiva e con la speranza di non essere spedito nel girone degli Ignavi di Dantesca memoria…

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