9 commenti
Nel calice di Vania

Pascal Henin, ‘L’Appel de la Forêt’

Nonostante il tam tam mediatico e i prezzi ormai folli (ah, l’Italie!), la maison Pascal Hénin rimane una piccola, autentica e talentuosa realtà certificata ‘Vignerons-Indépendants’ con base ad...
di Vania Valentini

Nonostante il tam tam mediatico e i prezzi ormai folli (ah, l’Italie!), la maison Pascal Hénin rimane una piccola, autentica e talentuosa realtà certificata ‘Vignerons-Indépendants’ con base ad Ay ma con 8 ha di vigneti distribuiti a Chouilly per i Grands Crus, Mareuil sur Aÿ e Dizy per i Premiers Crus, in Vallée de Marne à Cerseuil e Troissy; un’eterogeneità che permette alla famiglia di coltivare tutti e tre ‘cépages champenois’ quali il pinot moir, lo chardonnay e il meunier.
La svolta per questa maison a conduzione famigliare arriva con l’istrionico figlio Romain che, prima ancora che vigneron – mestiere non facile in cui ha deciso di avventurarsi – è un appassionato che si divide tra degustazioni, ricerche e confronti assieme a produttori come Paul Gosset, Adrien Renoir e Antonie Bouvet. Significativa, poi,  un’esperienza in cantina da Henry Giraud, dove Romain ha modo di approfondire l’arte della vinificazione e del’affinamento in legno e decisivo l’impulso di Sébastien Mouzon, grazie al quale Romain si appassiona alla filosofia biodinamica. Filosofia che, oltre che un’ossessione, diventa per lui una religione. La famiglia, probabilmente spaventata da tutto questo entusiasmo, inizialmente è prudente e non permette a Romain di stravolgere le consuete operazioni in vigna e in cantina nella piccola maison con sede ad Ay. Così Romain, nel 2016, decide di prendere in affitto 36 are e creare la sua piccola cantina, libero finalmente di esprimersi come meglio desidera. È un successo, Romain dimostra nel tempo di essere davvero bravo e determinato e di non abbattersi nemmeno di fronte a due annate difficili quali la 2016 e la 2017 e oggi i suoi champagne sono ricercatissimi, le bottiglie ancora poche e in Italia, ça va sans dire, ormai è un mito. Certamente sproporzionati i prezzi a cui si trova sul mercato, i giovani e talentuosi vignerons come lui oggi in Champagne sono tanti e, molti, ancora da scoprire, una ‘nouvelle vague’ che sta arricchendo la regione di nuove idee, nuove modalità̀, nuovi stili. Tuttavia, bravo Romain!

Ormai introvabile ‘Gamin du Terrois’, così ho assaggiato così ‘L’Appel de la Forêt’, una cuvée nata dalla collaborazione tra Romain assieme al papà, Pascal. La degustazione è avvenuta alla cieca.

Colore che tradisce immediatamente la presenza (importante) del pinot nero, per un calice che è luminoso, intenso, dai riflessi vividi. I profumi sono non sono particolarmente intensi ma sono intriganti, emergono, timide, le note fumé, la cenere di camino, gli agrumi, il ribes. L’ingresso al palato appassiona: è tosto e saporito di agrumi, sale dolce, the nero, tuttavia, è la progressione gustativa a non essere altrettanto sfolgorante così come il centro bocca, che rimane un po’ in debito di profondità, di sapore. Rimangono un sì la piacevolezza, l’equilibrio acido-minerale, l’ampiezza, la pulizia e la freschezza, per un sorso che par voglia anticipare un percorso, per ora, solo all’inizio, ma che si rivelerà certamente avvincente.

Millesimato 2015, 80% Pinot noir, 20% Chardonnay da uve della Maison Pascal Henin, ad AY – Extra Brut (dosato con mosto della sua vendemmia da vigne in Biodinamica) – Dég. Oct. 2021 – Dos. 4 g/l

Sito web: champagne-pascal-henin.fr
Instagram: @romain_henin_vigneron

Suggerimenti a tema:

9 risposte a “Pascal Henin, ‘L’Appel de la Forêt’”

  1. Innanzitutto. brava perché una rece andava comunque fatta.
    E giustamente sottolinei che a quel prezzo se sei saggio bevi altro. Vorrei sottolineare però che non è un fenomeno squisitamente italiano, ma anche e soprattutto francese. Per una volta…

    • Grazie mille, molto interessante quello che dice. Ero (quasi) convinta fosse un fenomeno tutto italiano…

      • mah, non sono convinto di questa storia. pascal henin come altri tipo gaspard brochet si trovano in Francia quantomeno alla metà del prezzo a cui sono proposti in italia. Una vergogna

        • Il problema non è tanto la differenza di prezzo tra Italia e Francia per i vigneron, visto che questa differenza è fisiologica per ovvi motivi. No. Il problema è, invece, creare miti (i cui fondamenti sono tutti da verificare) che danno vita a un’insensata speculazione. A fine mese, dopo aver visitato Henin, comunque, dirò la mia nello specifico…

          • Alberto,
            io compro i miei champagne regolarmente in Francia e mi stupisco a vedere che in Italia la medesima bottiglia può arrivare a costare il doppio. Fenomeno è vero che coinvolge soprattutto i vigneron.

          • Se le grandi maison hanno dei listini export molto diversi da quelli per il mercato interno, con i vigneron è diverso. C’è il listino professionisti/export che è inferiore, ma non di molto, rispetto a quello della vendita al pubblico. In questo caso, però, l’importatore ha poi tutta una serie di costi da aggiungere, quindi ecco fatta la grande differenza di prezzo…

  2. Mi volevo tacere per carità di patria, ma stavolta Alberto, almeno sulla questione prezzi, non sono d’accordo, e la penso come @alberto caló. parliamo di prezzi di vigneron o similia in generale non dei “fenomeni”. La tesi sarebbe corretta se fuori dalla Francia trovassimo la medesima situazione. Ma la domanda è come mai la borderie giusto per non parlare senza contestualizzare che non serve a niente, in Germania costa la metà spaccata che in Italia? Lo stesso dicasi per Taillet, del quale compro “a casse “ il suo exclusiv’T a 28,5 euro (!). Coi prezzi dei trasporti abbastanza equivalenti a una spedizione nazionale, l’unico freno…. È la inziale( solo iniziale) diffidenza di un acquisto “all’estero” e forse un po’ di barriera linguistica! fino a un certo punto questa: le assicuro che tedeschi francesi austriaci e olandesi sono ben felici di parlare inglese, anche per vendere solo qualche centinaia di euro di vino. Per me posson pure continuare così, gli importatori italiani, ma non vedo NESSUNA ragione oggettiva per questa sperequazione.
    Ultima nota sul nostro “fenomeno”, e parlo dopo essere stato in cantina, credo uno o 2 giorni prima di. Voi. Ho trovato la sua recensione veramente benevola, perché oltre a quali to ha detto di sacrosanto sul vino, ha taciuto qua si per amor di patria (Loro) sulle condizioni igieniche della cantina. Semplicemente imbarazzanti! E non è che i vigneron non curino questo aspetto perché son piccoli. Basta andare dalla Nelly (dont) della Renaissance o da thevene- delouvin o lo stesso taillet. Per me sono le basi. Nello sporco, e li era sporco, non puoi fare qualità,

    • No, no, perché tacere? Scambiamoci opinioni, invece! Lo spazio commenti di questo sito nasce proprio per questo…
      Inizio dalla pulizia della cantina. In Borgogna da questo punto di vista sono messi perfino peggio. Poi, per qualcuno è poesia (!!!) ma sono d’accordo che l’igiene nella cantina di vinificazione sia imprescindibile. Tuttavia, se c’è chi riesce a fare ottimi vini in condizioni, diciamo, meno esemplari, beh… bravo lui. Per me deve essere la bottiglia a parlare, poi possiamo disquisire di tutto il resto a seguire. A dirla tutta, però, i cosiddetti ‘top’, hanno quasi tutti cantine pulite: Diebolt, Egly, Vilmart… tanto per fare qualche nome.
      Faccenda prezzi. Credo che in Italia abbiamo il sistema distributivo più costoso, tra agenti, capi area, direttori commerciali, l’eventuale sostituzione di bottiglie difettose, eccetera. Oltre a una conformazione del Paese che rende molto costoso il trasporto (questo, ad esempio, è uno dei problemi dell’editoria cartacea). Tutto ciò incide per forza di cose sul prezzo finale. Che risulta più alto rispetto a Germania od Olanda (la Francia fa storia sé per ovvi motivi). Quindi, tolto l’acquisto in sede (ovviamente il più conveniente), diciamo che il vigneron ha un prezzo di vendita X che vale per i professionisti francesi (ristoranti ed enoteche) e per gli importatori. I primi aggiungono il loro ricarico e via, i secondi, da paese a paese, una serie di costi che portano il prezzo finale in alto, al quale va poi aggiunto il ricarico del rivenditori finale. Ecco spiegata la differenza di prezzo non trascurabile.
      Si dice che un grande gruppo stia pensando di eliminare progressivamente la rete di vendita per passare esclusivamente alla vendita diretta. Sarebbe una mezza rivoluzione, anche se il grande gruppo lo farebbe per mettersi in tasca tutto quello che spende ora per la rete vendita, non certo per abbassare i prezzi al cliente finale. Temo…

  3. Tutti parlano degli champagne del figlio Romain, ma invece gli campagne del padre Pascal come sono? Per esempio il suo brut tradition, l’a.g.n. e il plumecoq come sono? Si trovano a 30-60-80€ rispettivamente , li valgono? Grazie per le perfette parole!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.